Halal: la certificazione di qualità per facilitare gli scambi con gli Emirati
di Giuseppe De Marinis

La certificazione è uno dei requisiti fondamentali per potersi avvicinare al mercato dei beni halal, ovvero ammessi e ritenuti leciti dai consumatori di fede islamica. Si tratta di un “bollino” che vale un giro di affari di 15 miliardi di euro l’anno solo per le imprese italiane. La certificazione halal è  un’attestazione volontaria di liceità secondo le prescrizioni alimentari islamiche, derivanti dal libro Sacro del Corano e dalla Sunna (tradizione profetica). Essa integra l’HACCP aziendale e tutti gli altri sistemi di gestione della sicurezza alimentare, rivolgendosi in primis ai generi alimentari e zootecnici, ma anche ai cosmetici, ai nutraceutici, ai farmaci, e a tutti quei processi che possono risultare contaminabili dall’uso o meno di sostanze ritenute haram (vietate). Si tratta di una certificazione indispensabile per il superamento delle dogane, per la commercializzazione nei Paesi di fede islamica, e perché i beni possano essere oggetto d’importazione per i consumi interni dei Paesi a maggioranza musulmana. Questo tipo di certificazione è un valore aggiunto e un passpartout per l’accesso ad un mercato che cresce del 10% annuo e che, per la serietà dei controlli, può  interessare anche i consumatori non islamici.

La certificazione halal nasce però dalla certificazione di tutta la catena del valore coinvolta nella produzione. Vanno monitorate la qualità, le fasi di approvvigionamento, i processi di trasformazione, fino alla logistica. Perché si possa parlare di una certificazione halal totale è necessario considerare anche i metodi di approvvigionamento dei mezzi finanziari e la responsabilità sociale.

Questa certificazione non si ferma ai prodotti, ma coinvolge anche i servizi commerciali e i canali di vendita come GDO, punti vendita ed esercizi di somministrazione. Per tale motivo ha un ruolo chiave nelle filiere agroalimentari e prevede obblighi di rintracciabilità e di etichettatura di prodotti ben definiti.

Spesso succede che alcuni ingredienti ritenuti haram (vietati), come alcol, enzimi, grassi o gelatine, non siano chiaramente indicati e vengano celati sotto altra forma; per tale motivo molte catene commerciali, soprattutto negli Stati Uniti, hanno inserito veri e propri loghi halal tra gli scaffali.

L’interesse non manca se si pensa che in Germania, Regno Unito e Francia il 36% dei consumatori di prodotti halal non è musulmano.

Secondo gli ultimi dati disponibili, l‘halal food a livello mondiale vale 700 miliardi di dollari, e di questi il 10% è generato in Europa, con un volume in Italia che si aggira sui 5 miliardi di dollari.

Basti pensare che il valore del cibo italiano con certificazione halal (quella che garantisce il rispetto delle procedure di produzione previste dalle regole dell’Islam) supera i 4 miliardi di euro all’anno. Infatti con le esportazioni verso i Paesi islamici di alimenti halal molte aziende italiane hanno potuto superare la fase di difficoltà del mercato interno italiano. Per quanto riguarda invece il settore cosmetico l’obbligo di certificazione vale sia per le aziende che vogliono entrare per la prima volta in uno dei 57 mercati, sia per le aziende già presenti sul mercato islamico che hanno tuttavia 3 anni di tempo per produrre la certificazione halal. Inoltre per adeguarli allo standard di ESMA (Ente di standardizzazione degli Emirati Arabi) c’è la possibilità di convertire le linee di produzione passando da una produzione non halal a una produzione halal previo lavaggio e sanificazione dell’impianto e una riconsiderazione, più vantaggiosa per le aziende esportatrici, dell’uso dell’alcool considerato haram solo se ingerito e quindi halal per l’uso epidermico.  Nel 2014 lo scambio commerciale tra i due Paesi è stato di 5,9 miliardi di euro, con un valore delle esportazioni di 5,3 miliardi di euro e delle importazioni pari a 628 milioni; facendo registrare una bilancia commerciale nettamente favorevole all’Italia, con un saldo positivo di 4,7 miliardi di euro. Nel primo semestre 2015 l’export italiano verso gli Emirati Arabi ha segnato un +14,2% (+30% nel solo agroalimentare). Secondo i dati di Halal Italia le aziende italiane coinvolte in processi di certificazione halal superano le 300 unità: si tratta di grandi imprese nel 24% dei casi, aziende di media dimensione nel 63%; piccole imprese e imprese familiari nel 13%. Un terzo (31%) opera nel settore delle carni e dei prodotti base carne. Si concentrano per la maggior parte nel Nord Italia (55% del totale) e particolarmente in Lombardia ed Emilia Romagna, il 20% al Centro, il 10% al Sud e il 15% nelle isole. Alla luce di questi dati emerge l’importanza dei mercati islamici per le aziende italiane i cui margini di sviluppo di internazionalizzazione sono ancora molto ampi.