Generalmente quando un’azienda decide di affrontare i mercati esteri si sentono le fatidiche frasi: “faccio la valigia e prendo l’aereo…”, denotando lo spirito tipicamente italico dell’avventura (aspetto positivo) e dell’improvvisazione (aspetto negativo). L’export manager, che nella maggior parte delle aziende italiane è anche l’imprenditore, viene visto come un “commesso viaggiatore” che deve essere costantemente in giro per il mondo, visitando fiere, facendo missioni commerciali e incontrando tanta gente: insomma, per farla breve, deve essere “molto impegnato”. Ebbene, in realtà, se fa queste attività è solo una persona che perde tempo e denaro.
Le aziende di stampo anglosassone hanno invece un approccio diverso con i mercati esteri, meno improntato ai viaggi e più orientato allo studio e alla formazione, in particolare tramite le ricerche di mercato. In pratica, mentre per noi “la valigia e l’aereo” sono la prima (e spesso unica) attività che realizziamo per andare all’estero, per loro invece è l’ultima fase di un percorso di studio ed analisi.
Ma cosa è una ricerca/indagine di mercato? Innanzitutto è uno degli argomenti più evitati, e non a torto, da parte dalla stragrande maggioranza delle nostre imprese, dal momento che spesso molti operatori del settore hanno venduto “carta piena d’inchiostro” anziché delle vere e proprie indagini; in sostanza si tratta di un lavoro di ricerca in cui si possono reperire – prima di partire – tutte quelle informazioni necessarie per affrontare un Paese come: caratteristiche del mercato e dei consumatori, quali sono e come funzionano i canali distributivi, prezzi di vendita, concorrenti, adempimenti legali, fiscali e doganali, possibili fiere, etc., di cui invece le nostre aziende vengono a conoscenza solo dopo che sono partite (magari più volte con relative spese) e generalmente quando accade un imprevisto o un problema che blocca tutto e crea anche danni.
Per fare questo lavoro le aziende anglosassoni incaricano i loro export manager, i quali rimangono rinchiusi nei loro uffici a reperire le informazioni necessarie, talvolta assistiti da esperti o società specializzate nel settore; una volta conclusa la ricerca, questa viene analizzata attentamente al fine di stabilire quali azioni intraprendere. Per cui se si decide di affrontare un determinato mercato e, finalmente, si “fa la valigia e si prende l’aereo”, quando si arriva a destinazione, questo non è più un posto sconosciuto ma, anzi, un luogo in cui si sa già dove andare, chi incontrare, cosa fare e, soprattutto, chi e cosa evitare.
Invece, sovente, le nostre imprese, capovolgendo l’ottica anglosassone, quando giungono in un nuovo mercato, esaurito l’entusiasmo dello spirito avventuriero, percepiscono la necessità di avere informazioni e soprattutto punti d’appoggio per poter proseguire la missione. E’ qui che spesso si fanno avanti soggetti locali che offrono la loro “assistenza” (e, guarda caso, sono le stesse persone che stanno molto alla larga dalle aziende anglosassoni) con risultati che, non sempre ma molto spesso, lasciano a desiderare. E ciò perché sanno che l’azienda italiana è disorientata e non sa bene cosa fare, in quanto non ha tutte le informazioni necessarie per capire come funziona quel mercato, diventando di conseguenza una preda piuttosto che un cliente. Dunque l’azienda italiana si lancia immediatamente nella mischia del campo di battaglia senza aver precedentemente pianificato una strategia di attacco.
Spesso le uniche informazioni che un’azienda raccoglie prima di andare all’estero, come la scelta di un paese o di una determinata fiera, sono ottenute tramite canali incontrollati del tipo “ho saputo”, “mi hanno detto”, “ho sentito dire”, etc., che risultano del tutto inconsistenti se non fuorvianti. Se l’imprenditore dovrà spendere una cifra esigua per fare una ricerca di mercato, non ci saranno mai i soldi; se invece sceglierà di essere immediatamente operativo (“valigia e aereo”) andando in fiere e/o paesi sbagliati e maturando la sensazione di aver lavorato “tanto” seppure con scarsi risultati operativi, in questo caso i soldi magicamente saranno disponibili e anche in grande quantità.
Nonostante ciò, quando nei percorsi formativi insegniamo ai partecipanti sia a reperire tutte queste informazioni, sia come strutturare una ricerca di mercato, spesso ci sentiamo dire: “ci avete dato una miniera d’oro, ma il problema è che se mi vedono in ufficio studiare dalla mattina alla sera mi dicono che non sto lavorando, che dovrei essere in giro a cercare nuovi clienti…”. Insomma per gli anglosassoni questi sarebbero degli ottimi export manager, per molte delle nostre aziende invece inutili fannulloni.
A nostro modesto parere l’export manager dovrebbe agire come il ghepardo, che è l’animale più veloce del mondo raggiungendo anche i 110 km/h per brevi tratti. Se osserviamo il suo comportamento nell’arco della giornata e misuriamo i suoi spostamenti per calcolare la velocità media, forse è tra gli animali più lenti di tutti, questo perché passa quasi tutto il suo tempo a fare due cose: monitorare il territorio e riposare. Il ghepardo sa che, se dovesse correre tutto il giorno, morirebbe di fame in breve tempo, a causa del tremendo sforzo che dovrebbe affrontare. Invece studiando la preda (cioè monitorandola), la insegue solo quando è il momento opportuno. Così dobbiamo agire tutti noi! Studiando e monitorando il mercato e scattare il più velocemente possibile solo quando è il momento giusto, tenendo presente, come ben sa anche il ghepardo, che non sempre la caccia andrà a buon fine.