Nella prassi commerciale internazionale, la figura contrattuale più diffusa è la compravendita internazionale, regolata, laddove trovi applicazione, dalla Convenzione di Vienna del 1980 che fornisce una disciplina dettagliata, ma non completa, della materia. Altra fattispecie contrattuale largamente in uso consiste nella distribuzione di prodotti su di un mercato estero, e nelle sue diverse tipologie – agenzia, concessione e franchising. Poi c’è il Joint venturing, di cui esistono due generi: la JV contrattuale, basata cioè su di un contratto, e quella societaria, fondata invece su una nuova società, controllata congiuntamente dalle imprese che ne posseggono percentuali di capitale. Infine, il licensing, che è inteso come cessione del diritto all’utilizzo per fini commerciali di qualunque proprietà intellettuale.
Lo strumento del contratto internazionale come base legale della cooperazione transfrontaliera funziona anche in Libia, un Paese finora restato al di fuori delle relazioni internazionali e non firmatario delle maggiori Convenzioni di diritto del commercio internazionale. Ma perché un’impresa nostrana dovrebbe stipulare accordi commerciali con partner libici? Nella pratica commerciale, infatti, ogni investimento comporta un’analisi approfondita dei rischi e dei vantaggi che ad esso conseguono. Di potenziali rischi, il paese africano è davvero ricco. Il contesto legale è instabile e precario. Nonostante le principali fonti del diritto, tra cui il Codice Commerciale del 1953, il Codice Civile ed il Codice di Procedura Civile del 1954, siano rimasti in vigore dai precedenti regimi, dalla fine della rivoluzione le nuove Autorità stanno innovando l’intero corpo di regolamenti inerenti soprattutto le attività economiche e commerciali in Libia. La dinamicità di tale processo lo rende anche estremamente complesso da monitorare. Qualunque ordine giuridico andrà delineandosi, ad ogni modo, la religione islamica sarà la principale fonte del diritto, come il Congresso ha recentemente votato. Altre fonti di rischio sono l’insicurezza nei territori periferici, ancora controllati da bande armate, e la scarsa diversificazione dell’economia libica, principalmente dipendente dai proventi del petrolio. D’altro canto, invece, la rivoluzione civile del 2011 ha lasciato alla Libia un vacuum economico e finanziario e un incredibile deficit di infrastrutture che hanno bisogno di essere riempiti. Solo gli investimenti esteri hanno tale potenziale. Inoltre, le nostre imprese nel paese sono numerose e già ben radicate in molti settori dell’economia. La lingua italiana, poi, è largamente diffusa a causa del nostro passato coloniale. In ultima istanza, sono disponibili numerosi incentivi, privilegi e sgravi fiscali quinquennali per le imprese straniere nel paese. Tra questi, degna di nota è l’iniziativa Forsa, nata nell’ambito della Deauville Partnership, che da qualche anno forma le PMI libiche per fornir loro capacità manageriali e imprenditoriali per renderle più competitive.
Ad ogni modo, il diritto libico prevede una serie di restrizioni per le imprese straniere che stipulano accordi commerciali nel paese. Vediamone alcune. In Libia la vendita di beni e servizi richiede obbligatoriamente l’utilizzo di un agente, persona fisica o giuridica, di nazionalità libica. Ciò soddisfa una duplice esigenza. Da un lato incentiva l’assunzione di cittadini libici, dato che la disoccupazione nel paese è una piaga sociale. Dall’altro, la distribuzione nel paese richiede non solo la presenza fisica dell’agente e l’interazione diretta col cliente, ma anche la piena conoscenza del contesto storico, economico e culturale del mercato locale. Le imprese straniere possono anche costituire Joint ventures con partner locali, ma la percentuale massima di capitale che esse hanno il diritto di detenere è fissata al 49%, mentre invece almeno il 51% dell’intero capitale deve essere di proprietà della controparte straniera. Ulteriori requisiti obbligatori per stabilire una nuova società in Libia sono la registrazione commerciale della compagnia straniera, che tra l’altro deve vantare almeno 10 anni d’esperienza, nel paese di origine; il deposito in una banca libica di un milione di dinari libici; la registrazione della nuova compagnia presso le competenti istituzioni locali. Si tenga inoltre presente che i contratti con il governo e le autorità pubbliche sottostanno a leggi speciali, contenute nel Regolamento n. 563 del 2007. Infine, ogni compagnia straniera è obbligata ad assumere personale autoctono per almeno il 75% della propria forza lavoro e ad offrire corsi di formazione e specializzazione ai suoi dipendenti, in modo tale da avviare una progressiva nazionalizzazione dei processi produttivi.
A seguire, pertanto, alcuni suggerimenti pratici che, a seguito di un’accurata scelta del partner, è consigliabile siano alla base di ogni investimento nel Paese africano.
- Nella redazione del contratto, farsi assistere non solo da un buon interprete, ma anche da un esperto legale o un avvocato locale, che conosca tutte le nuances del diritto commerciale libico.
- Qualora non si riesca ad imporre l’italiano come lingua ufficiale dell’accordo, nella negoziazione optare per una lingua neutra, come l’inglese, che è generalmente conosciuto da entrambe le parti senza essere la madrelingua di nessuna. La scelta di una lingua neutra evita in genere eventuali interpretazioni difformi tra le parti. Ad ogni modo, l’arabo non può essere eluso nella registrazione commerciale di una compagnia, perché tutti i documenti richiesti sono disponibili solo in lingua locale, e neppure nelle sentenze giudiziarie e nei lodi arbitrali emessi in Libia.
- Selezionare la legge applicabile al contratto. Si tenga presente che nei contratti amministrativi ed in quelli petroliferi, l’applicazione della legge libica è obbligatoria ed automatica.
- Definire il mezzo utilizzato nella risoluzione di potenziali future dispute. Questa scelta va fatta alla luce di valutazioni preliminari che riguardano la possibilità e facilità o meno di eseguire una sentenza piuttosto che un lodo arbitrale in Libia, che come già visto non ha firmato la Convenzione di New York. I contenziosi amministrativi e le cause di lavoro sono di norma soggetti al giudizio di una Corte nazionale. Al contrario, invece, l’arbitrato è obbligatorio nei contratti inerenti l’estrazione e la raffinazione del petrolio.
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