L’attuale crisi dei mercati internazionali ha portato ad uno spostamento del baricentro dei centri economici dalle economie avanzate ai cd. “mercati emergenti”.
Per la verità questa situazione era già in atto da parecchio tempo, per cui la crisi iniziata nel 2007 non ha fatto altro che accelerare questo inevitabile processo che comporta, da una parte, la saturazione delle economie avanzate (con conseguente difficoltà di vendita dei prodotti) e dall’altra la crescita dei paesi in via di sviluppo. Del resto la Cina era fino al 1800 la prima economia mondiale: poi con la rivoluzione industriale, Europa e Stati Uniti l’hanno superata ma adesso la Cina, insieme all’India, si sta riprendendo il posto che per molti secoli ha avuto.
Nella categoria dei paesi emergenti abbiamo non solo il famoso BRIC (Brasile, Russia, India e Cina) ma anche quelli che li seguono a ruota come la Turchia, Polonia, Vietnam, Corea del Sud, Messico, Argentina, Colombia solo per citarne alcuni. Se teniamo presente che oltre la metà delle nostre esportazioni è diretta ai mercati europei (che sono in difficoltà) si capisce che bisogna avviare una strategia diretta ad orientare le nostre esportazioni sempre di più verso i mercati emergenti. Del resto nel 2010 le nostre esportazioni sono cresciute soprattutto verso queste aree. Ma che caratteristiche hanno questi mercati e cosa dobbiamo fare per potervi entrare?
- Tipologia di prodotti richiesti: questi mercati si stanno industrializzando sempre di più, dunque hanno una forte richiesta di macchinari e tecnologie per creare e sviluppare le loro industrie per soddisfare sia i fabbisogni interni che per esportare le loro produzioni. Per quanto riguarda i prodotti di largo consumo, visti i loro bassi costi di produzione (che hanno portato molte nostre aziende a delocalizzare presso di loro) non abbiamo spazi; possibilità vengono invece garantite per i prodotti più rappresentativi del “Made in Italy”, quelli di fascia alta di maggior prestigio, qualità ed eleganza.
- Modalità di entrata: la figura del solito importatore potrebbe non bastare. Anzi in molti casi è sconsigliata. Molti di questi mercati sono commercialmente chiusi, situazione che è stata aggravata dalla crisi, per cui molto spesso l’operatore interessato ai nostri prodotti non si limita ad importare ma pretende la creazione di una società per gestire tutte le fasi commerciali. La cosa in sé non solo non è un problema ma anzi è una manifestazione di volontà di volerci con loro in quel mercato per un lungo periodo e non per operazioni “mordi e fuggi”, ma che comporta per l’azienda la necessità di spendere capitali anziché il semplice “vendere ed incassare”. La richiesta di partenariato riguarda non solo la commercializzazione di prodotti ma anche la possibilità di produrre in loco prodotti di largo consumo. Per esempio abbiamo diverse richieste dall’India e dalla Cina di imprenditori locali che vogliono produrre vino e olio d’oliva sul posto e cercano produttori italiani interessati a mettersi in società con loro per condividere il “know-how” per produrre e vendere nel mercato locale e dividere i guadagni. Come si può vedere in questo caso un nostro produttore di vino può fatturare in questo mercato non esportando il suo vino ma esportando il suo “saper fare” con il partner locale. Ma quanto siamo disposti a cambiare questa modalità di approccio? Tenendo presente che se non andiamo noi ci andrà (anzi ci stanno già andando) altri che poi ci impediranno di entrare.
- Distanza: in un mercato globalizzato la distanza fisica tra noi ed i mercati di destinazione non dovrebbe essere un problema, neanche logistico. Invece per il grosso delle nostre imprese lo è, il che spiega la preferenza del lavorare in Europa. Questi mercati emergenti, esclusi la Turchia e la Polonia, sono molto distanti e non si può pensare di gestirli facendo innumerevoli viaggi di andata e ritorno. Ecco perché si rende necessaria la costituzione di società e/o joint-ventures, che permette la dislocazione sul posto di una figura aziendale che segua le attività svolte. Anche questo comporta, ovviamente, costi per l’azienda anche se spesso sono minori o pari rispetto ai costi dei viaggi che si fanno.
- Diversità dei consumatori: le abitudini, gli usi ed i bisogni di questi mercati spesso sono radicalmente opposti rispetto ai nostri, per cui bisogna adottare modifiche sia ai prodotti che alle modalità di approccio commerciale. Per dare una idea la Ferrari ritiene essenziale che un cliente che ordina un suo modello aspetti molti mesi; il problema è che i nuovi ricchi dei paesi emergenti non sono disposti ad aspettare e piuttosto che attendere preferiscono acquistare altri marchi in grado di fornire tempestivamente le auto dei loro desideri. Questo sta evidentemente creando una rilevante discussione in casa Ferrari sulle strategie da adottare nei suddetti nuovi mercati.