A nulla rileva il titolo del possesso in caso di introduzione in Italia (e in generale in UE essendo la normativa doganale unionale) di merci da un paese extra-UE. Lo ha ribadito la Ctp di Como con la sentenza n. 31/2018.
La normativa doganale (Reg. 952/2013, CDU, e relative disposizioni di attuazione) prevede l’obbligo di effettuare una dichiarazione preventiva, espressa o tacita, quando si attraversa la linea di confine con merce terza a prescindere dal fatto che il soggetto che la trasporta ne abbia, legittimamente o meno, la proprietà il possesso o la mera detenzione.
Nel caso di specie una signora, che viaggiava in treno, stava introducendo in Italia degli oggetti di oreficeria dalla Svizzera (paese terzo) senza dichiararli e dando anche una risposta negativa alla richiesta della dogana di “merce da dichiarare”. In seguito a successiva perquisizione i funzionari doganali accertavano il possesso degli oggetti di oreficeria con preziosi non dichiarati e irregolarmente introdotti in Italia a cui è seguita l’acquisizione degli oggetti in temporanea custodia ed emissione di processo verbale di constatazione (Pvc).
Ovviamente, una dichiarazione mendace come quella sopra descritta legittima anche l’applicazione di una sanzione, oltre al recupero di dazio e Iva.
La dichiarazione preventiva è obbligatoria anche per l’introduzione di merci che non hanno natura commerciale qualora superino i limiti di valore di seguito descritti:
- 430,00 euro nel caso di viaggiatori aerei o via mare;
- 300,00 euro nel caso di transito via terra;
- 150,00 euro per viaggiatori di età inferiore a quindici anni indipendentemente dal mezzo di trasporto utilizzato.
Ebbene, le merci in possesso della contribuente superavano la soglia dei 300,00 euro entro la quale le merci non unionali sono ammesse in franchigia.
Nel caso di specie il valore risultava da stima di un gemmologo della contribuente, ma, in linea generale, non rileva la eventuale mancata conoscenza del valore della merce in quanto questo si determina in base alle regole previste da CDU (Codice Doganale dell’Unione, Reg. 952/2013); inoltre, i funzionari doganali possono rideterminare il valore, eventualmente anche con la richiesta di una perizia, qualora non ritengano congruo quello dichiarato.
Veniva così contestata una cifra superiore ai 495mila euro con l’applicazione di un dazio doganale pari al 2,5% e IVA all’importazione al 22% (l’IVA si applica sul valore comprensivo di dazio) per un totale di oltre 121mila euro.
Veniva poi irrogata la sanzione di 30mila euro corrispondente al minimo edittale. Infatti, l’art. 303, comma 3 del TULD contiene un sistema sanzionatorio a scaglioni che si applica qualora i diritti di confine complessivamente dovuti secondo l’accertamento sono maggiori di quelli calcolati in base alla dichiarazione e la differenza dei diritti supera il cinque per cento; nell’ultimo e più alto scaglione, per una evasione di diritti di confine in misura pari o superiore a 4000 euro, è prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa da 30.000 euro a dieci volte l’importo dei diritti evasi.
La Ctp di Como ha ribadito, inoltre, che tributi sono dovuti indipendentemente dall’elemento soggettivo dell’illecito e a prescindere che la condotta tenuta sia caratterizzata dall’elemento psicologico doloso o colposo.