Il tema del Made in…., dell’etichettuatura obbligatoria e più in generale dell’origine della merce in Italia, ha avuto un forte impatto sul piano normativo rispecchiandosi, di conseguenza, sugli operatori. Il settore maggiormente interessato è quello tessile, calzaturiero e della pelletteria.
Si è assistito allo sviluppo di specifici provvedimenti e disposizioni sulla commercializzione dei prodotti, disposizioni, queste, che dall’agosto 2009 ad oggi hanno allarmato gli operatori.
Il tema è così rilevante per le strategie di commercializzazione e di internazionalizzazione dei processi produttivi di molte imprese del settore tanto che molti sono stati i seminari tenuti dal gruppo Commercioestero Network e dallo Studio Tupponi, De Marinis & Partners, sul tema del Made in. Inoltre Istituzioni Camerali ed Enti Associativi si sono attivati per formare ed informare, passo dopo passo, gli operatori sugli sviluppi della normativa.
Con il presente articolo si vuole informare gli operatori del settore sugli ultimissimi sviluppi dell’iter di implementazione delle regole imposte dalla “legge sul made in” (Legge n. 55/2010, nota anche come Legge Reguzzoni- Versace -Calearo).
Tale legge aveva previsto per il prossimo 1° Ottobre, l’istituzione e l’entrata in vigore di un regolamento per l’etichettatura, la tracciabilità e le informazioni al consumatore sul rispetto degli standard normativi su sicurezza, lavoro e ambiente dei prodotti tessili, della pelletteria e calzaturieri.
Su tale Legge, come anche sui conseguenti regolamenti attuativi, forte era stata la perplessità sia sul piano sostanziale (rischio di disparità di trattamento settoriale oltre che rispetto agli operatori europei) che sul piano del rispetto, da parte dell’Italia, delle procedure comunitarie. Queste perplessità ci avevano portato ad essere cauti circa l’effettiva entrata in vigore di tali disposizioni, consigliando agli stessi operatori di non prendere decisioni importanti circa le loro strategie di internazionalizzazione produttiva nonché sull’obbligatorietà dell’etichettatura e dell’indicazione del made in. Questo il sunto di un importante convegno da noi tenuto presso la Federazione tessile e moda (Sistema moda Italia) a Milano il 5 luglio alla presenza dei più importanti marchi nazionali.
E così è stato!
L’Unione Europea, dopo il vaglio obbligatorio, ha reso noto, per il tramite del Direttore generale della Direzione Impresa e Industria, che la legge italiana sul made in Italy non va bene.[1] Quindi tutto da rifare? Diciamo in parte di sì!
Sul piano formale, infatti, prima ancora di entrare nel merito della legge ReguzzoniVersace-Calearo, l’Unione Europea fa notare che «gli Stati membri devono comunicare alla Commissione le bozze di regolamentazione tecnica prima della loro adozione e comunque ad uno stadio in cui siano ancora possibili modifiche sostanziali». Questo non è avvenuto perché la legge è stata approvata il 17 marzo scorso e notificata il 7 maggio, «quando non poteva più essere considerata come bozza». Quindi la notifìca è irregolare per motivi formali, legati al mancato rispetto delle tempistiche per la sua notifica alle autorità comunitarie. Sul piano sostanziale, la stessa Commissione UE ha, come da noi ipotizzato, configurato una possibile distorsione della libera circolazione delle merci. Questo “previsto” stop ha avuto come conseguenza immediata la mancata emanazione dei decreti attuativi entro il termine previsto del 23 agosto e poi il differimento dell’entrata in vigore della legge, visto che, senza regole operative per metterla in pratica, la sua applicazione sarebbe stata difficile.
Le stesse autorità doganali hanno sollevato forti perplessità sull’applicazione delle nuove pesanti sanzioni previste dalla legge. Il rischio era ed è tuttora l’incertezza operativa nonché le possibili contestazioni. Congelare la Reguzzoni forse è stato il minore dei mali.
Nonostante il nostro legislatore, dopo lo stop dell’UE, continui a richiamare il rispetto della normativa comunitaria in tema di indicazione del paese di origine è bene ricordare che, ad oggi, come sottolinea la stessa Commissione, non esiste un regolamento che preveda un sistema di etichettatura obbligatoria a livello UE. Esiste solo l’obbligo, comune a tutti i 27 Paesi, del rispetto, da parte degli operatori, delle regole di origine previste dal Codice Doganale Comunitario.
Insomma una forte battuta d’arresto dovuta anche a sviste sul piano formale del rispetto degli accordi UE. Aspetto questo che sicuramente allontana l’obiettivo di fare chiarezza sulle indicazioni di origine anche se, come sottolineato da molti addetti ai lavori, il tema dell’etichettatura obbligatoria è diventato anche in ambito Comunitario un tema di attualità che, sicuramente, vedrà nei prossimi mesi ulteriori sviluppi.
[1] «Vorrei invitare le autorità italiane a tenere in conto le osservazioni appena esposte e a tenermi informato riguardo alle misure che esse intendono adottare per assicurare che la normativa in questo settore sia in linea con le disposizioni del Trattato e della Direttiva 98/34/Ce». Così si conclude la lettera inviata all’ambasciatore italiano a Bruxelles dal Direttore Generale della Direzione Impresa e Industria.